Intervista ai pionieri della distribuzione di vino in fusti. Un ritratto di famiglia autentico e sorprendente.
Cosa ricordate degli inizi di Quattroerre?
Maurizio | «A quel tempo molti vini arrivavano dal Sud, erano corposi, fruttati e con grado alcolico elevato, venivano “tagliati” con acqua o miscelati con vini leggeri. L’oste imbottigliava il vino nella cantina del locale, previo “aggiustamento” del gusto e del grado alcolico. Solitamente il vino veniva consegnato in botti di legno da 500 litri che si facevano rotolare nelle cantine tramite apposite aperture e scivoli, una movimentazione impegnativa e faticosa.»
Chi ebbe l’idea della distribuzione in fusti?
Giampietro | «L’idea della mescita tramite impianto di spillatura venne a nostro padre, nel 1985. Era un progetto dirompente sul piano della percezione del prodotto da parte dell’avventore e sul piano operativo-pratico della distribuzione».
Maurizio | «Valutammo gli aspetti tecnici: era necessario aprire i fusti, lavarli e assicurare la stabilità organolettica del vino. Non esistevano macchine e bisognava fare tutto a mano. Occorreva poi procurare e installare gli impianti di spillatura».
Giampietro | «Iniziammo a fare il lavoro che prima faceva l’oste ovvero “tagliare” i vini e miscelarli interpretando il gusto corrente. Non era facile: l’oste conosceva personalmente i propri clienti e le loro preferenze, noi invece dovevamo ragionare sulle tendenze dei consumatori di un bacino territoriale ampio e dislocato in ambienti diversi (città, campagna, montagna). Non avevamo la disponibilità di dati e statistiche che c’è adesso e l’esperienza che papà aveva maturato in cantina risultò preziosa: la sua selezione di raffinati vini veneti e piemontesi risultò efficace. Purtroppo, all’epoca, il vino bergamasco era quasi inesistente».
Quale fu l’impatto sui consumatori?
Giampietro | «Ci siamo chiesti come avrebbero reagito: sarebbe prevalsa la sensazione di maggiore qualità o di perdita di genuinità? Pochissimi distributori in Italia avevano osato rischiare il cambiamento, siamo stati fra i primi. Insomma ci lanciammo nell’impresa con un po’ di inconsapevolezza e molta audacia. Sta di fatto che i clienti accolsero positivamente la novità».
Come è nata la vostra avventura nel mondo della birra artigianale?
Enrico | «Siamo nati e cresciuti nel mondo del vino. La diversificazione dell’offerta, che oggi sembra scontata, è avvenuta gradualmente. La commercializzazione di bevande analcoliche, per esempio, risale a soli 20 anni fa. Per lungo tempo abbiamo venduto birre d’importazione e nel 2011, finalmente, con la collaborazione di una brasseria artigianale sono nate cuvée millesimata e cuvée riserva di Birrificio Nazionale, il nostro marchio. La vera passione per la birra però è scoppiata partecipando alla realizzazione di Birrificio OTUS. Giampietro si è preso una vera e propria cotta per la birra artigianale».
Giampietro | «È vero, il mondo della birra artigianale mi appassiona. Il team di OTUS è fantastico e ogni nuova birra che mettiamo in produzione è un’avventura. Le soddisfazioni sono molte, a volte accogliamo con stupore la notizia delle varie medaglie che vinciamo nei concorsi internazionali. Stiamo investendo molto, ma sono convinto che avremo soddisfazioni sempre più grandi».
Qual è il segreto dei fratelli Rota?
Enrico | «Penso sia la passione per questo lavoro. Sembra una frase fatta, ma è pura verità. Ci piace quello che facciamo e ci piace lavorare insieme, abbiamo imparato da ragazzi. A volte si litigava, sì, ma come litigano i fratelli di quell’età: un minuto dopo tutto ritorna come prima. Viviamo in armonia».
Come prendete le decisioni?
Luca | «Le decisioni importanti vengono prese insieme, l’unanimità viene spontanea. Sono scelte ponderate, come è giusto che sia in una azienda che deve tutelare il proprio patrimonio e il lavoro di molte persone. Tuttavia alcuni progetti sono nati a tavola, dalle chiacchiere del dopo cena con il bicchiere in mano, per realizzare desideri o assecondare passioni. È quel che è successo, per esempio, quando abbiamo deciso di investire nella produzione di birra artigianale».
Cosa c’è nel futuro di Quattroerre?
Enrico | «Davide e Andrea – i figli di Maurizio e Giampietro – lavorano in azienda da tempo, il loro apporto è prezioso e si avvicina il tempo del cambio generazionale; basti ricordare che nostro padre ci ha lasciato mano libera quando aveva solo 47 anni».
Luca | «La conduzione del vigneto di Rosciate, così come la decisione di coltivare l’orzo per OTUS sono effetto del legame con il nostro territorio, della voglia di tornare alla terra. A volte parliamo di acque minerali. Per ora sono sogni».